La storia della regina Teodolinda

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la storia della regina Teodolinda di Matilde Ercolani che qui ringraziamo sentitamente per il gentile contributo.


Nell’anno 569 d.C. il popolo Longobardo varca le Alpi Giulie. L’Italia è distrutta dalla guerra Gotica che è durata 20 anni, ovunque c’è desolazione e povertà. Nonostante questo, il popolo nomade, proveniente dal nord-­‐est europeo, trova accogliente il nostro paese e decide di stabilirsi via via nei territori che occupa ed ecco che in pochi mesi conquista quasi tutta l’Italia del nord ed arriva fino a Pavia, la futura capitale.


Autari e Teodolinda

Raffigurazione della regina Teodolinda
Cappella di Teodolinda del Duomo di Monza
È l’anno 589 d.C., il re dei Longobardi è il giovane Autari. Le lotte e le guerre sono all'ordine del giorno; è il Medioevo sconosciuto, scrigno della storia, che racchiude bellezze che sta a voi scoprire e gustare come una fiaba.

Lo scalpitio dei cavalli della schiera di Autari risuonava cupo nella valle. I monti irti di abeti cominciavano a restringere il paesaggio come per inghiottire la strada ed il riflesso del sole al tramonto tingeva di rosa i campi candidi di neve. Il re cavalcava silenzioso alla testa dei suoi soldati; quello scenario risvegliava in lui le inquietudini delle ultime battaglie contro i Franchi, suoi nemici di sempre, e le sospirate alleanze che avrebbe potuto stringere con qualche regnante, sconfiggendoli così una volta per tutte. Si cominciava a vedere in lontananza la pietra scura delle case della città: in mezzo si ergeva maestoso il maniero di Eoino, duca di Trento.
“Forza! Tra poco farà buio” -­‐ disse Autari voltandosi indietro verso i suoi che cominciavano a dare i primi segni di stanchezza.
Arrivarono al castello quando uno spicchio di luna iniziava a scorgersi dietro la cima più alta. Furono accolti da tutta la corte e un menestrello con un suono di corno annunciò al duca l’arrivo della truppa.
“Caro Autari, quanto tempo!” -­‐ disse Eoino -­‐ “Ma adesso dovrei chiamarti sire”.
“Sono venuto a trovare un vecchio amico.” -­‐ disse Autari sorridendo -­‐ “ Dimmi piuttosto come vanno le cose quassù, a parte il freddo, ovviamente...”
“Va tutto bene. A proposito vorrei presentarti...
Appena dietro al duca si scorgeva una figura femminile, esile, quasi diafana. Aveva lo sguardo timidamente abbassato. Si fece avanti.
.... vorrei presentarti mia moglie”-­‐ disse Eoino.
“Il mio nome è Manigunda, Sire” -­‐ disse la ragazza facendo un profondo inchino.
“Duchessa.” -­‐ disse Autari accennando con il capo -­‐ “Da dove venite?” “Vengo dalla Bavaria, sire”.
Lo sguardo vuoto e distratto di Autari spinse Eoino a riprendere in mano la conversazione.
“E tu, quand’è che prendi moglie e dai un erede ai Longobardi? Così la finirai con la politica e le battaglie.” -­‐ disse Eoino sorridendo -­‐ “Non dirmi che non hai nessuna donzella che ti fa gli occhi dolci. Sei il più giovane re che abbiamo mai avuto, sei bello, intelligente e coraggioso. Cosa potrebbe volere di più una donna?”
“Vorrebbe un marito innamorato”. -­‐ rispose freddamente Autari.
“Anche Teodolinda, la sorella di mia moglie, non ne vuole sapere di prendere marito. Sempre in mezzo ai suoi cavalli e ai suoi boschi, dice di non sentirsi tagliata per fare la moglie. Vive con suo padre Garipaldo, sovrano dei Bavari.”
Autari conosceva la fama di questo re. Sapeva che pochi mesi addietro aveva combattuto contro i Franchi ed era riuscito a rimandarli a casa a mani vuote. Forse un’alleanza con lui avrebbe significato una sicurezza in più per il regno, stretto in una pericolosa morsa tra Bizantini, papato e Franchi.
La conversazione continuò ancora per poco, dopodiché un servitore di Eoino accompagnò Autari nella stanza che gli era stata riservata. Egli entrò, si levò l’ampio mantello e depose le armi.
Una sorta di inquietudine invadeva il suo animo. Autari aprì la porta che dava su una vasta terrazza illuminata da grandi torce, respirò profondamente, e il freddo pungente lo rinvigorì. Restò per qualche minuto affacciato a contemplare la valle che si stendeva davanti ai suoi occhi, illuminata a tratti dalle luci della case dei contadini e dalle poste dei cavalli. Il silenzio lo avvolgeva, egli sentiva solamente il crepitio delle torce. Gli tornarono alla mente ricordi della sua infanzia vissuta non come gli altri bambini ma sempre in mezzo a cavalli e guerrieri, scappando da una terra all’altra, senza una fissa dimora. L’adolescenza, poi, gli aveva portato ancora solo battaglie, al fianco del padre che era morto prematuramente. Giovanissimo, aveva preso in mano il potere. Non aveva mai condiviso le sue gioie e i suoi dolori con nessuno, solo con i suoi soldati. Dopo quei ricordi si sentiva ancora più solo. Rientrò nella stanza e si addormentò.

L’indomani, prima di scendere al cospetto del duca, chiamò a sé due dei suoi soldati:
“Federico, Jacopo, siete i migliori e di voi mi posso fidare. Dovete partire subito. Andate in Bavaria e dite al re Garipaldo che chiedo la mano della sua figlia maggiore”.
“Ma, sire... “ -­‐ disse Federico -­‐ “non vi sembra di aver preso una decisione un po’ affrettata?” “Io sono il re.” -­‐ disse -­‐ “Andate, vi aspetterò a Pavia.”
I soldati partirono e Autari, senza dire nulla, andò da Eoino, e dopo il pranzo si licenziò con la scusa che aveva un affare urgente da sbrigare con il duca di Piacenza.
Passarono i giorni e Autari attendeva con impazienza, nel suo palazzo di Pavia, il ritorno dei suoi due guerrieri. Se ne stava ore e ore sulla torre, guardando insistentemente la strada da dove sarebbero arrivati. Finalmente, un giorno, scorse da lontano la polvere sollevata dai cavalli di Jacopo e Federico che si dirigevano verso il Castello. Garipaldo aveva acconsentito al matrimonio.
Decise, allora, di andare lui stesso dal Re sotto false spoglie, facendo finta di essere un messo con il compito di riferire sull’aspetto della principessa. Partì veloce sul suo cavallo, spinto dalla bramosia di conoscere il suo futuro alleato e suocero e di vedere la sua promessa sposa. Durante il viaggio l’animo di Autari era pervaso da un’inquietudine insolita. Aveva deciso di prendere moglie. Avrebbe preferito sceglierla, avrebbe voluto prima innamorarsi, come era successo per i suoi genitori, ma, alle volte le necessità politiche stanno al di sopra dei sentimenti. Il suo regno aveva bisogno di un alleato potente e il padre di Teodelinda lo era. Dopo qualche giorno Autari arrivò alla corte di re Garipaldo:
“Salve sire, mi chiamo Federico. Sono stato mandato da re Autari per conoscere vostra figlia, affinché lui possa mandarle i doni più adatti. Il mio re desidera anche che vostra figlia mi porga una coppa di vino così che io possa riferirgli sulla sua grazia e dolcezza”
“Dite al vostro re che mia figlia Teodolinda sarà felicissima di diventare sua moglie e di porgere a voi la coppa di vino”
Il re mandò a chiamare la ragazza che fino a quel momento non aveva voluto, a causa della sua testardaggine, scendere al cospetto dell’ospite. Scese le scale e, arrivata nella sala, fece prima un inchino al padre poi, con lo sguardo abbassato, porse la coppa di vino ad Autari il quale rimase senza parole.
Teodolinda era alta, florida, portava i lunghi capelli biondi raccolti sulla nuca da una ghirlanda di velluto verde, aveva gli occhi nocciola e le guance vellutate e rosee come una pesca. Il suo dolce sguardo e le sue movenze lo avevano rapito. Aveva le mani affusolate e con la grazia di una farfalla porse al falso Federico la coppa di vino, accennando un saluto. Lui dimenticò i calcoli, la politica, le alleanze e le battaglie, e fece nella sua mente e nel suo cuore posto a quella meravigliosa creatura, avrebbe voluto dirle qualcosa, rivelare chi era ma non poteva farsi riconoscere e le sfiorò di nascosto il viso con la mano accarezzandole il collo.
Lei rabbrividì e arrossì, non comprendendo il gesto ed, imbarazzata, si licenziò dagli invitati e corse dalla nutrice a raccontarle cosa era successo.. “Ho pensato fosse lui il mio re, così bello e gentile!” -­‐ disse Teodolinda alla nutrice -­‐ “Credo che serberò lo sguardo di quel giovane nel mio cuore per molto tempo, fino a che non conoscerò re Autari”.
“Cara Teodolinda, se quel ragazzo non fosse il re in persona non avrebbe neanche osato toccarti”.
Teodolinda si diresse verso la finestra seguendo con lo sguardo il cavallo di Autari che lentamente scompariva dietro la collina. All’improvviso, seguendo l’impulso scese di scatto nelle stalle, prese il suo cavallo e corse veloce, lo avrebbe voluto raggiungere, non poteva rimanere troppo tempo con il dubbio che quel giovane non fosse il suo futuro sposo. Prese una scorciatoia ma, arrivata ai margini della foresta, si fermò e lo guardò andarsene da lontano: il suo cuore le diceva che era lui il futuro padre dei suoi figli.

Autari e Teodolinda
Autari cavalcava veloce. Il vento nei capelli lo faceva sentire più vivo e felice che mai. Lo sguardo di Teodolinda lo aveva colpito dritto nel cuore. Era bastato solo uno sguardo dolce e forte di quella meravigliosa creatura a farlo innamorare. Sfrecciava tra i boschi, per le verdi valli alpine, pensando già al momento in cui l’avrebbe finalmente rivista.

Arrivò a Pavia: “Federico, Jacopo, Riccardo, venite subito! Anche tu, Rosmunda, mia vecchia nutrice voglio festeggiare.”

I guerrieri e Rosmunda si guardarono negli occhi, stupiti per il comportamento alquanto insolito del loro re. “Forza, non restate lì impalati! Vi ho detto che voglio festeggiare con tutto il popolo. Chiamate i cantori, fate cucinare oche, cinghiali e capretti...”

“Ma sire, che cosa...”

“Sono o non sono il re? Questi sono ordini!”

I ragazzi corsero a dare gli ordini nelle cucine, mentre Rosmunda stette lì immobile di fronte al suo figlioccio, con lo sguardo severo.

“A me, Autari, non la dai a bere. Cosa c’è di tanto importante da festeggiare? Hai forse vinto un’altra battaglia contro quei Franchi? Credi che occorra festeggiare quando si versa sangue umano? Adesso che sono andati tutti, a me lo puoi dire. Cos’è tutto questo mistero?”

Autari si divertiva a vedere Rosmunda così preoccupata e continuava a non dire nulla, facendo sempre di più il misterioso.

“Autari, perché non mi rispondi? Ti ho cresciuto come mio figlio, dalla morte di tua madre. Non mi interessa se sei re!”

“Cara Rosmunda, ti preoccupi sempre. Quando combatto, vai a pregare il tuo Dio perché hai paura che mi accada qualcosa.” E la strinse in un abbraccio affettuoso, mentre alcune lacrime furtive, gli scesero dagli occhi verdi.

“Rosmunda, stai per avere una regina!”

L’espressione sul volto della donna ad un tratto si trasformò, da tesa e preoccupata che era, Rosmunda sorrise e poi scoppiò in pianto. “Autari, mio sire, ragazzo mio! Ho pregato tanto che venisse questo momento. Io sto per andarmene e tu hai bisogno di qualcuno che ti curi, che ti ascolti e che ti ami.”

Senza aggiungere nulla, uscì dalla stanza, asciugandosi le lacrime con un lembo del vestito e si avviò verso le cucine per dirigere i preparativi della festa.

***

Accadde che dopo qualche mese Garipaldo, il padre di Teodolinda, si trovò in gravi difficoltà a causa di un’invasione dei Franchi. Il re di Bavaria, temendo per la sorte dei figli li mandò entrambi a rifugiarsi in Italia dove, così, Teodelinda avrebbe potuto celebrare il matrimonio con il suo promesso sposo. Autari alla notizia che Teodolinda stava per raggiungerlo, non volle aspettare che arrivasse a Pavia e le andò incontro in un luogo chiamato Campo dei Sardi, che si trova sopra Verona, per celebrare lì le nozze.

Autari stava ritto sul suo cavallo in abito nuziale. Era circondato dai suoi fedeli guerrieri e dietro di lui stava il cerimoniere. Tutto era pronto per l’arrivo dei Bavari, quando ad un tratto vide da lontano la polvere alzata dai cavalli. Lo sguardo duro di Autari nascondeva in realtà una profonda commozione e felicità per il suo arrivo.

La truppa arrivò con alla testa lei, sul suo cavallo nero. Indossava un abito sovrastato da un mantello rosso ed un lungo velo sui capelli sciolti, fermati da un diadema d’oro. Alle orecchie portava due corniole incise, ricordo di sua madre. Altera, ma sorridente, scese sicura dal suo cavallo e si fermò di fronte al suo promesso sposo.

Era lui. Era il giovane guerriero che aveva visto qualche mese addietro. La nutrice aveva ragione e il suo cuore non l’aveva tradita. Riuscì a stento a trattenere la felicità che le riempiva il cuore. Lui le corse incontro, con il cuore in gola per l’emozione. Avrebbe dovuto limitarsi ad un baciamano, invece la prese forte per le spalle e la baciò sulla fronte. “Salve, mia sposa” disse Autari “Salve” rispose lei e si avviarono fianco a fianco verso il cerimoniere di nozze. La festa durò fino a tarda notte, danze, balli canti, vini e cibi di ogni genere allietarono quel giorno.

Tra i tanti duchi Longobardi alle nozze, era presente anche Agilulfo, lontano parente di Autari che, assentatosi per i bisogni corporali, per poco non fu colpito da un fulmine. Un servitore del seguito che aveva la fama di indovino diabolico, vide la scena dello scampato pericolo e gli disse: “Questo fulmine, è un segno divino. La donna che ora sposa il tuo re, tra non molto sarà tua moglie!” “Sparisci! O ti farò tagliare la testa per l’idiozia che stai dicendo” e quegli rispose “Io dirò anche idiozie ma ciò che ho detto si avvererà” e se ne andò.

I due ragazzi erano felici. Lei lo accompagnava alle visite reali e al controllo dei territori di confine, insieme, poi, cavalcavano ore ed ore, alle volte dormendo all’addiaccio coperti solo dal loro mantello. Parlavano di tante cose: lei parlava a lui di arte e di filosofia, dell’Oriente, lui le parlava delle sue battaglie, delle conquiste e dei suoi progetti di espansione del regno.

Un giorno, durante una passeggiata passarono di fianco ad una piccola chiesa di pietra. Lei, si fermò di colpo, silenziosa, scese da cavallo ed entrò. L’interno era spoglio, non c’era nemmeno la porta. Solo un grande Crocifisso se ne stava là in alto, a dominare l’abside.

Teodolinda proseguì piano verso il Crocifisso, si inginocchiò e disse: “Oh, Signore ti ringrazio!”

Autari rimase impietrito. Lei non gli aveva mai detto di essere cristiana. Lui aveva a lungo contrastato il papa ed aveva combattuto contro i cristiani, ma ora non avrebbe potuto adirarsi con lei. La dolcezza del suo viso e la sia devozione lo avevano rapito, così, piano piano entrò e, senza sapere neanche il perché le si mise di fianco, si inginocchiò anche lui e le strinse forte la mano.

Autari e Teodolinda vivevano felici nel loro castello di Pavia. Autari, a causa delle lunghe guerre, stava via molto tempo e Teodolinda rimaneva sola. Quando lui era lontano da casa, di sera negli accampamenti, dopo aver dato gli ultimi ordini ai suoi soldati, si appartava, si sedeva sotto un albero e pensava a lei. Lei andava sui bastioni del castello e pensava a lui. In quei momenti si parlavano con il cuore sentendo così, la mancanza l’uno dell’altro meno dolorosamente. L’amore per Teodolinda gli aveva riscaldato il cuore al punto che aveva perfino fatto un tentativo di pace con i Franchi, mandando un’ambasceria a Guntranno il loro nuovo re. Dei suoi fedelissimi soldati, aveva mandato Riccardo e Federico, purtroppo però non aveva potuto conoscere l’esito di quel viaggio perché due giorni dopo era dovuto partire per Benevento. Là, aveva conquistato territori, estendendo così il regno fino a Reggio Calabria. Per quell’impresa era stato via tre mesi, ma ora, finalmente, stava tornando verso casa.

Autari cavalcava silenzioso alla testa dei suoi soldati. La truppa, attraversato il passo appenninico, si trovò finalmente di fronte la vasta Pianura Padana.

L’afa formava all’orizzonte una nebbiolina tremolante e il sole picchiava forte. Proseguirono per circa due ore, quando Autari, vedendo che i cavalli non ce la facevano più e i suoi soldati erano esausti, decise di fermarsi vicino ad un torrente appena dopo la città di Placentia. Qui notò una donna vecchia che sembrava una mendicante.

-­ Tu sei il mio re.-­ disse la donna sorridendo.

-­ Sì, donna-­ rispose lui sorpreso, e si guardarono in silenzio per qualche istante. Jacopo, dalle da mangiare-­ .

La vecchia sorrise e gli disse -­ Che Dio ti benedica, giovane Autari. Corri, corri veloce, lei ti sta aspettando vicino dove si sposano i due grandi fiumi. Va, che per lei non ti rimane molto tempo-­ .

Autari subito non credette a quella donna ma sentì ugualmente che doveva andare più veloce che mai, così si mise a galoppare lasciando indietro la sua truppa. Mentre cavalcava, però, gli tornavano alla mente le ultime parole della vecchia: era un brutto presagio? Attraversò veloce campi, torrenti, paludi e paesi ed arrivò presto dove il Po si unisce con il Ticino vicino a Pavia.

Vide Teodolinda da lontano e il cuore gli cominciò a battere forte: la lunga chioma era sciolta sulle spalle e fermata in alto da un diadema di perle nere, una tunica di leggerissimo tessuto orientale lasciava trasparire appena le sue belle forme. Era sorridente e accarezzava il suo cavallo al pascolo. Per vederla ancora un attimo così bella, Autari si nascose dietro ad un albero e la spiò fino a quando non fece muovere una fronda. Lei si voltò di scatto. Autari allora uscì da dietro l’albero e a lei si illuminò il viso. Si strinsero forte in un lungo e silenzioso abbraccio.

Tornarono al castello e, dopo i festeggiamenti si ritirarono sui bastioni. Qui lei aveva fatto portare un grosso pagliericcio. Lei si sedette e lui appoggiò la testa sul suo grembo.

-­ Ora che il nostro regno arriva fino a Reggio-­ disse Autari -­ ...ed è abbastanza forte, siamo in grado di trattare la pace con i Franchi. Quali notizie da Riccardo e Federico? Sono già tornati da Guntranno?-­

-­ Sono tornati, ma sono già ripartiti a sedare una piccola rivolta a Cividale.-

-­ Ebbene, cos’ha risposto? Ci ha concesso la pace?-­

Nonostante la dolcezza della moglie, Autari fremeva perchè voleva sapere com’era andata l’ambasceria al re dei Franchi, cosa aveva risposto e che tipo era. Ma Teodolinda, che conosceva bene il marito, giocava con questo suo difetto e faceva apposta a ritardargli la notizia.

-­ Insomma, ne va del nostro regno!-­‐ disse Autari innervosito. Ma poi si rese conto che, in quel momento, la cosa più importante era che fosse lì con la sua amata e, sorridendo disse: -­‐ Sono incorreggibile, vero!-­ e si calmò.

Lei allora intenerita gli prese la testa tra le braccia e lo cullò come un bambino.

-­ Sì, Guntranno ci ha concesso la pace e i tuoi soldati sono rimasti colpiti dalla gentilezza, bontà e saggezza di quell'uomo-­

-­ Lo facevo una persona rude come tutti i Franchi, sai, conoscendo il nipote, Childeberto!-­

-­ No, tutt'altro! Pensa che si sono addirittura trattenuti alla sua corte più del necessario, Serviti e riveriti come re. Riccardo mi ha raccontato una strana storia che si narra su re Guntranno, una storia che solo in pochi sanno. Una volta nei boschi durante una caccia, essendosi i suoi compagni dispersi qua e là, lui, rimase con un suo fedelissimo e preso dal gran sonno, appoggiò la testa sulle ginocchia di lui e s’addormentò. Mentre dormiva, un serpentello gli uscì dalla bocca e cominciò ad agitarsi per passare un rigagnolo che scorreva lì vicino. Il suo fedele allora, tratta la spada dal fodero, la pose sul rigagnolo e fu su di essa che il serpentello passò dall’altra parte. Qui entrò poi in una cavità della montagna. Uscì dopo poco, ripassò il rigagnolo sempre sulla spada e rientrò nella bocca di Guntranno. Questi, destatosi di lì a poco, narrò di aver avuto una visione straordinaria: in sogno gli era parso di passare un fiume su un ponte di ferro e poi, entrato dentro ad una montagna, diaver scorto grandi mucchi d’oro. Il suo fedele, allora, gli narrò per filo e per segno quello a cui aveva assistito. Insomma, scavando in quel luogo, trovarono tesori inestimabili nascosti da chissà quanto tempo: e con tutto quell'oro, il re, che era uomo di grande fede cristiana, fece costruire un ciborio perchè voleva inviarlo al sepolcro di Cristo a Gerusalemme ma, poiché questo non era possibile, lo fece porre sulla tomba del beato Marcello ma....Autari, Autari!-­

Autari, stanco e cullato dalla voce della moglie, si era addormentato. -­ Vorrà dire che te la racconterò domani- disse fra sè Teodolinda e si addormentò anche lei. I giorni seguenti fecero lunghe passeggiate a cavallo e le cure di Teodolinda lo ritemprarono. Un giorno però, si rattristò di colpo e divenne silenzioso.

-­ Quali pensieri annebbiano la tua mente?-­ disse Teodolinda.

-­ Sono preoccupato per il nostro regno. Ho molti nemici tra i Longobardi e nel caso che io muoia vorrei essere sicuro che...-­

-­ Nel caso che tu muoia i Longobardi avranno un regina e non un re...-­‐ rispose Teodolinda -­...perché tu sarai per sempre mio marito anche dopo morto e governerai con me, nel mio cuore-­.

Autari rimase così colpito dalla forza e dalla determinazione di quella creatura così dolce che non ebbe il coraggio di dirle più nulla, neanche della profezia della vecchia che, in quei giorni, gli tornava alla mente perseguitandolo.

Di lì a pochi giorni però la profezia si avverò. I suoi nemici, avidi di potere ed invidiosi della sua fama, avvelenarono Autari il 5 di settembre durante una festa di nozze. Le sue ultime parole e i suoi ultimi sguardi furono per Teodolinda e morì tra le sue braccia.

Dopo la cerimonia funebre Teodolinda prese il suo cavallo e galoppò veloce nei boschi per consegnare al vento tutto il suo dolore, fino a quando non arrivò a quella chiesa di pietra sperduta sulle montagne dove per la prima volta il marito si era avvicinato alla religione Cristiana. Legò il cavallo ed entrò. Penetrava solo un filo di luce dalla finestra di alabastro. Si inginocchiò e pianse tanto fino a non aver più fiato nè lacrime chiedendo al Signore la forza di andare avanti con coraggio e di essere una regina degna del suo popolo. E così fu.

Commenti

Post più popolari