Le arimannie nella storia politica d'Italia, alcuni documenti della fine del IX secolo

Continua il nostro excursus su quella vera e propria classe sociale a parte, una nobiltà minore basata sul lineaggio, che furono le arimannie nell'età feudale italiana, purtroppo pochissime sono le fonti e questa volta facciamo riferimento al testo "Storia politica d'Italia - dalle origini ai giorni nostri", Carlo Guido Mòr, l'età feudale - 1952.

Carlo Guido Mòr (Milano 1903 - Cividale del Friuli 1990); è stato uno storico italiano tra i più grandi esperti delle istituzioni dell'Alto Medioevo in Italia, prof. univ. dal 1934, ha insegnato storia del diritto italiano nell'univ. di Padova. I suoi numerosi studî riguardano principalmente il diritto romano nell'Alto Medioevo, i rapporti fra Stato e Chiesa, storie locali, le istituzioni longobarde. Tra le opere: Storia della università di Modena (1952; 2a ed. 1963); L'età feudale (2 voll., 1952-53); I boschi patrimoniali del Patriarcato e di S. Marco in Carnia (1962). È stato anche editore di fonti romanistiche dell'Alto Medioevo e di statuti.

"A questo proposito sarà bene ricordare quelle specie di consorzi di proprietari che son le "arimannie" e le "Comunità di valle". Originate, le prime, da colonie di liberi exercitales longobardi, installati in luoghi strategici od a presidio di città, formavano una comunità di piccoli proprietari (poiché ad ogni arimanno era concesso in godimento un appezzamento di terra) con l'uso di pertinenze comuni (boschi, pascoli), ma sotto il vincolo del servizio militare e con le limitazioni alla piena disponibilità, quali il diritto di prelazione e quello di regresso. Più tardi, poiché le terre son fiscali e quindi per sé stesse privilegiate per ciò che riguarda le imposte, si scioglieranno tali consorzi, trasformandosi il possesso condizionato in vera proprietà liberamente trasferibile, ed il carico del servizio militare verrà sostituito da un tributo che prenderà appunto il nome di "arimannia", ma permarrà l'uso di boschi e pascoli comuni, sugli incolti, che continueranno ad esser pubblici. Diverso, invece il regime della "Comunità di valle": per quelle delle zone di montagna, che vedemmo già essere geograficamente ben circoscritte, la piccola proprietà privata di fondo valle è la regola, con usi comuni di boschi e pascoli sulle pendici montane, che a mano a mano, col progredir dell'altezza, si allargano dai vicini ad una più ampia cerchia di persone per esser aperti a tutti gli abitanti della Valle per i pascoli più alti e più magri: e qui, si può dire, specialmente nella zona aplina, non si trova quasi traccia dell'ordinamento curtense"

"Fra quella minore (nobiltà, ndr) potrebbero anche annoverarsi quelle comunità di arimanni che, vivendo su terre fiscali, hanno mantenuto un certo grado sociale. Lamberto, nel suo capitolare ravennate, aveva preso alcune disposizioni a loro favore: essi non potevano venire infeudati, né assoggettati a placiti diversi dagli ordinari, né costretti all'albergaria, oltre ad aver riconosciuta la libera disponibilità della propria "sors", perché l'alienazione non venisse effettuata in frode dai loro obblighi originari (66): risulta abbastanza chiaro che tali disposizioni che gli arimanni erano ancora considerati, alla fine del secolo IX, come una categoria di persone, diremmo una vera classe sociale, distinta tanto da quella feudale, cui territorialmente è soggetta, ma con privilegi, quanto dai "mediocres" e "minores", cioé dal "populus", per il fatto di alcuni privilegi genericamente a loro riconosciuti.
Certo, in proseguo di tempo, la loro posizione si muta, forse in vista di situazioni locali: così se nel 967 gli arimanni del castello veronese di Romagnano, considerati solo uomini liberi (e il ricordo della loro originaria situazione si appoggiava su un "si dice") venivano donati al monastero di S.Zeno come pertinenti al castello stesso (Dipl. Ott. I. 346), se gli arimanni di Ronco sono assoggettati alla giurisdizione del conte Aleramo intorno al 940 (67), nel 1014 quelli di Mantova formavano un vero e proprio consortile, una "universitas" capace di diritti, privilegiata da alcune esenzioni di carattere finanziario, esercente una propria attività commerciale dai porti adriatici di Ravenna e Ferrara fino a Riva del Garda, e tutelata infine da un mundeburdio imperiale (Dipl. Henr. 278). Ché se ci rifacciamo all'ormai noto diploma lotariano del 945 per la moneta mantovana, è forza riconoscere che gli arimanni formavano un nucleo distinto fra i cives mantovani, che s'avvicina di molto agli "hominibus maioribus habitantibus in marchia Savonensi in castello" ai quali nello stesso anno Enrico confermava le regalie di pesca e caccia e la esenzione da ogni imposta straordinaria (Dipl. Henr. 303). Ché se non si può proprio identificare questi arimanni con i valvassori, cioè coi "secundi milites" - anche se molti possono esser passati in questa classe - è più che probabile ch'essi abbiano formato, in Toscana, quei consortili nobiliari di Lombardi, su cui magistralmente scrisse il Volpe. Ed è pure evidente, che dagli esempi addotti, che non unica fu la sorte di queste comunità, di quelle cittadine pare abbiano conservato una maggiore organicità, mentre le rurali, sia che si tratti di milites limitanei, sia che si possa pensare, col Mayer, a complessi di contadini posti per il ripopolamento di zone deserte, poterono perdere la loro caratteristica in seguito al distacco dalle loro terre al grande dominio fiscale in favore di immunisti.
Purtroppo, però, la saltuarietà dei documenti non ci permette che di ipotizzare queste sfumature, che è difficile cogliere nella loro essenza, che si preciseranno più tardi, ma in ambiente mutato, e quindi mutando profondamente d'aspetto, talché non sarà sempre agevole determinare se il nome antico rispecchi veramente l'antica classe o non ne copra, per tradizione, una nuova."

Nota (66): Lamberti, Capit. raven, cap. XIII: Ut nullus comitum arimannos in bneficia suis hominibus tribuat; cap. XIV: Ut homines comitum nulltenus in domibus arimannorum resideant, sed domos rei publicae instaurant et ibi habitent; cap. XV: Ut scriptoribus publicis nullatenus interdicatur res arimannorum transcribere si quando eis ipsi eas supersederint, exigatur ab eis utrumque, sicut ante trascriptionem; cap. XVI. Ut ipsi arimanni frequentius quam in lege statutum est, ad placitum non cogantur nec a comitibus nec a sculdasiis.

Nota (67): Dal diploma di Ugo (Dipl. Ugo 53) ricaviamo, però, questa preziosa notizia, che questi arimanni erano unicamente soggetti al placito missatico, palatino e regio: "ut de Villa que vocatur Runco et de omibus arimannis in ea morantibus omnem districtionem omnemque publicam functionem et querimoniam quam antea publicus nosterque missus facere consueverat, et ut quemadmodum ante nos ante nostri comitis palatii presentiam placitum custodire consueverant, aut ante nostrum qualemcumque missum ..."
è vero che siamo in regime privilegiato, cioé di una villa regia, ma è anche questo, pare, il regime degli arimanni mantovani. Quelli, invece, di Romagnano veronese ricadevano sotto la giurisdizione del conte.


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